Michel Platinì, grande ex della storia bianconera, a pochi giorni dalla sua scomparsa, torna a parlare di Maradona e racconta il suo Diego, attraverso una lettera scritta per il giornale TuttoSport.
L’ex campione comincia la lettera con una premessa importante, dice infatti che “non è facile parlare di Diego“, poichè anche se è il suo è un ricordo facile, quello che rimane complicato è parlare dell’uomo al di fuori del campo. “Preferisco soffermarmi sul campione assoluto, su quello che ho conosciuto, che ho affrontato – continua il francese – Maradona è stato un calciatore immenso, personalmente l’ho scoperto, anzi lo abbiamo scoperto il 25 giugno 1979.“
Platinì racconta allora di quando nel 1979, la Fifa volle celebrare il Mondiale vinto dall’Argentina e lui venne convocato nella squadra rappresentativa del resto del mondo, allenata da Bearzot. Maradona all’epoca aveva solo 18 anni e non aveva preso parte al mondiale, ma si presentò insieme alla squadra campione allenata da Luis Cesar Menotti. La squadra del resto del mondo, oltre a Platinì, annoverava altri grandissimi nomi come Boniek, Kaltz, Cabrini, Tardelli, Paolo Rossi, Causio, Asensi, Krol, Leao, Zico e Toninho.
Maradona fece subito capire in quell’occasione il grande campione che poi sarebbe diventato: “Aveva un piede sinistro eccezionale, ma soprattutto una velocità di pensiero e una sveltezza di movimento come nessuno al mondo“, aggiunge Platinì.
La lettera poi continua con delle riflessioni personali del campione francese anche sulla vita privata del Pibe de Oro: “Non posso dire che siamo stati amici, ma nemmeno nemici: almeno da parte mia l’ho sempre rispettato, ho capito le sue origini, la sua voglia di riscattarsi, il suo amore, uguale al mio, per questo gioco fantastico. Maradona è stato un genio e come tutti i geni è impossibile descriverne tutte le doti, perch+ se ne aggiungono altre e altre si dimenticano. Posso anche dire, però, quello che è stato il suo peccato: non è stato mai veramente aiutato, sia in Argentina, sia a Napoli. Hanno preferito idolatrarlo invece di stargli vicino e così tenerlo distante da certi errori. Questo è stato il suo limite, l’avversario cattivo che nessuno ha mai voluto e saputo espellere e con il quale ha convissuto e non per colpe esclusive di Diego. Mi resta un ricordo dell’epoca bella che abbiamo vissuto, Diego ed io, da avversari sul campo, lleali, corretti ma, lo ripeto, mai da nemici.“