Quando Giovanni Trapattoni guidava la Juventus di Scirea, di Cabrini, di Platini e di Rossi alla vittoria nessuno, né addetti ai lavori né tifosi si permetteva di fare le pulci al tecnico di Cusano Milanino sul gioco. Nessuno ha mai rimproverato a Marcello Lippi una percentuale bassa in qualcuno dei parametri di gioco come il possesso palla o i tiri nello specchio della porta. Quando, invece, sotto i riflettori finisce la gestione tecnica di Massimiliano Allegri, i nasi di media e tifosi si storcono, i forconi si impugnano e gli slogan “giochisti” offuscano la mente di chi, come al solito, dimostra di non sapere cosa significhi per una squadra di vertice dover fare i conti con il risultato. Non c’è secondo posto che tenga, se la squadra è quella bianconera. L’allenatore livornese ha spiegato molto bene la questione del gioco nel piacevole e densamente ironico gioco da tavola di Dazn. Nel “TeoreMax“, il calcio raccontato da mister Allegri ad un Andrea Barzagli improvvisatosi giornalista per l’occasione, l’allenatore bianconero ha incarnato a pieno il postulato juventino del successo come unico obiettivo perseguibile. “Conta solo vincere – ribadisce Allegri – Il bel gioco è un concetto astratto” e la mente vola alla recente vittoria del Real di Ancelotti, ottenuta lottando con i denti e le mani, quelle di Courtois, a blindare il fortino e a rendere ancor più scorrevole e massimamente efficace il teorema di Max. Tutto torna. I numeri sul tabellino sono il giudizio più consono dell’operato durante una stagione.
E nell’annata appena trascorsa la Juventus è mancata spesso nel risultato, unico parametro di giudizio che può (e deve) animare i più aspri oppositori della speculazione del conte Max. In particolare i bianconeri non sono riusciti a battere mai le prime tre in classifica. E la spiegazione a tale mancanza viene da una condizione che può essere risolta in parte dal mercato. “No, non ci erano superiori, ma se non abbiamo mai vinto, qualcosa c’è mancato sotto l’aspetto caratteriale o della gestione. O ce l’hai o difficilmente ti viene a una certa età. In questo gruppo, Chiellini è stato importante, come anche te Andrea, come Buffon o Marchisio, parlando degli italiani”, ha ribadito Allegri. La leadership che un calciatore deve possedere non è orpello decorativo bensì sostanza. Non profumatore da appendere allo specchietto retrovisore ma motore stesso dell’automobile. Vince chi ha tanti leader in casa. E l’allenatore della Juventus proverà a coltivarne qualcuno: “Per il futuro ce ne sono due, De Ligt e Locatelli. Manuel è stato un ottimo acquisto, potrà essere il capitano, ha le caratteristiche tecniche e morali per stare tanti anni alla Juve“. Tutte doti che non mancano a Danilo, che il gruppo ha già incoronato, come sottolineato dall’intervistato: “quando parla non è mai banale e mette davanti la squadra. Un vero leader è silenzioso, deve parlare poco e deve mettere sempre davanti la squadra. È la squadra che ti riconosce come leader”. Chi leader non lo è stato è Paulo Dybala, al quale Max Allegri con ha risparmiato una frecciatina, sottolineandone un limite caratteriale: “c’è stato un momento in cui si è fatto trascinare dal fatto che era il nuovo Messi. Un giocatore non può emulare o pensare di essere come un altro”. E nemmeno un allenatore deve, nella visione di Max, innamorarsi ed emulare o peggio ““scimmiottare” gli altri, invece di lavorare su quelle che sono le nostre qualità. Si rincorre il Barcellona, il Bayern Monaco, il Psg, ma quando rincorri sei sempre dietro”. E la Juve non è abituata a stare dietro. Ad Allegri spetta il delicato compito di far ritrovare alla squadra leadership, idee e risultati. Con buona pace degli adepti del bel giuochismo.