In mattinata l’ex allenatore bianconero ha fatto parlare di sé per le dichiarazioni rilasciate al The Athletic (Le trovi QUI). Di particolare rilevanza per la nostra breve riflessione il suo commento sulla filosofia di gioco e l’eterna diatriba tra spettacolo e risultato.
UNA JUVE AL MAX – Il ritorno di Massimiliano Allegri sulla panchina bianconera può trovare le più disparate chiavi di lettura. Non credo di andare troppo lontano dalla verità se interpreto il ritorno al passato, un passato luminoso e vincente, come un netto taglio voluto dalla Juventus nei confronti di due gestioni tecniche giudicate evidentemente insoddisfacenti. La società è tornata sui propri passi per affidarsi alla rassicurante guida dell’allenatore livornese, tra i più vincenti della storia del club. Ma cosa di preciso ha spinto Andrea Agnelli a cambiare rotta verso l’usato sicuro? Dalle parti di Torino non avranno certamente gradito i modi burberi di Maurizio Sarri e l’impraticabilità dei suoi dettami tattici in un contesto votato alla concretezza del risultato. La scelta di Andrea Pirlo appare, poi, più un colpo di testa del presidente Agnelli che una sincera dichiarazione d’intenti. La cosiddetta “svolta giochista” non ha attecchito in casa Juve. E non è avvenuto per caso. L’esigenza cogente di confermarsi nelle vittorie è il mantra ricorrente che chi intraprende un’esperienza in bianconero, a qualunque titolo e con qualunque ruolo, deve fare suo. Allegri lo sa bene e le sue idee sono quanto di più vicino possa esistere alle ambizioni della grande squadra.
DOMINIO – Non poteva permettersi di indugiare, dunque, la Juventus nelle esasperazioni tattiche di mister Pirlo, nelle sperimentazioni di moduli multiformi e assai volubili. Troppo divergenti le vedute. La parentesi in bianconero del tecnico bresciano, alla prima esperienza su una panchina di Serie A, si è conclusa comunque con un piazzamento in Champions League acciuffato al photo-finish e due trofei in bacheca, la Supercoppa italiana vinta con il Napoli e la Coppa Italia in finale con l’Atalanta. Andrea Pirlo si è fatto portavoce di una filosofia estetica non sempre richiesta. Non in una società che fa del successo il proprio ossigeno vitale. “Guardiola lo ha dimostrato per anni: se non controlli il gioco è molto difficile per te vincere. Ci saranno partite in cui hai il 90% di possesso palla e dove perdi sull’unico tiro in porta, ma io preferisco perdere così piuttosto che passare l’intera partita a difendere in area, cercando di segnare in contrattacco”, ha dichiarato l’allenatore bresciano. Ci viene da pensare che quella squadra che vince la gara in contropiede con un unico tiro in porta sia una compagine allenata da Max Allegri. Quanto a Guardiola, le sue idee di dominio hanno ultimamente cozzato con ciò che gli inglesi chiamano prammaticity. Emblematica in tal senso la scelta, a posteriori rivelatasi poco ragionevole, di disputare l’agognata finale di Champions, la prima al di fuori del contesto catalano, senza attaccanti di riferimento. Tornando a Pirlo, il suo anno da allenatore della Juventus è stato certamente condizionato dalla situazione al limite determinata dall’emergenza pandemica. Ritmi serratissimi per due stagioni separate soltanto da pochi giorni. Giocare partite ogni tre giorni con poco tempo per recuperare le energie non ha facilitato il compito all’esordiente mister che si è complicato la vita in maniera ulteriore con una frenesia di schieramenti l’uno mai uguale al precedente. Nel giro di pochi giorni si passava dal 4-4-2 al 3-5-2 e i giocatori accusavano queste variazioni. È vero che la duttilità nel calcio moderno conta molto, ma nonostante i tanti cambi di modulo il gioco faticava ad arrivare per la sua Juventus. E i risultati altalenati certificavano la mancanza di stabilità nel rendimento. Ciò che, invece, a Torino Allegri proverà a recuperare.