Il passo falso della Juventus in Portogallo deve servire da utile promemoria per chiunque voglia affrontare la massima competizione internazionale per club con ambizione di primeggiare tra i top team europei.
A COME APPROCCIO – Il nostro prontuario di consigli pratici non può non cominciare dalla pecca più macroscopica che la gara di Oporto abbia mai potuto mettere in luce. I bianconeri scendono in campo molli e distratti. Come se non avessero ancora smaltito un certo timore reverenziale verso il palcoscenico internazionale. Bentancur e Szczesny confezionano il patatrac al primo minuto di gara. La rete regalata agli avversari è la cartina al tornasole di un deficit che non lascia scampo. Nello spogliatoio a fine primo tempo saranno volati gli stracci, direte voi. Non lo sappiamo, ma a giudicare dall’approccio alla seconda frazione di partita la paura non pare assolutamente accantonata. L’avvio di ripresa è ancor più tragicomico dell’inizio di partita. Sette calciatori bianconeri osservano colpevolmente passivi, la manovra Manafa-Marega che porta al raddoppio dei padroni di casa. Incredibile, se non fosse vero. Inspiegabile, se non con le ragioni dell’approccio errato.
PANCHINA LUNGA – In una stagione segnata dalla pandemia e da un calendario serratissimo sfruttare a pieno le potenzialità della rosa può fare la differenza soprattutto in Champions League. Lo dice la storia della competizione, i cui impegni non hanno gravato sulle energie di chi ha potuto vantare una notevole profondità dell’organico. La questione allora si sposta sull’effettivo valore della rosa bianconera, al netto degli infortuni e delle defezioni legate al Covid. Resta un organico di livello ma gravemente lacunoso in alcuni reparti. Se l’assenza del solo Arthùr snatura il modo di giocare in misura tale da immaginare una formazione A con lui e una B completamente diversa senza, emerge in tutta chiarezza la penuria di interpreti di centrocampo che possano innalzare la qualità del palleggio. Il brasiliano non ha sostituti. Come non li ha Morata. Kulusevski non è un attaccante e la cosa si nota molto bene. Lo svedese non dà profondità all’azione e non garantisce il lavoro di cesello del canterano che all’occorrenza sa farsi playmaker e ispirare i compagni. Il mercato avrebbe potuto sopperire alla mancanza della quarta punta. Il risultato è una rosa ridotta all’osso, una coperta molto corta, per usare un’espressione nota. Cortissima, uno scontrino fiscale.