Le dichiarazioni di Weston McKennie sono di quelle intense, di chi non dimentica, di chi sa che con il razzismo ha dovuto fare i conti e che certi problemi sono ben lungi dall’essere superati. Il centrocampista americano racconta le proprie esperienze a SportS Illustrated, mettendo in luce le poche differenze che ha riscontrato tra Stati Uniti e Germania.
U.S.A– Duro il commento sul proprio Paese: “Rappresento una nazione che a volte non mi accetta, soltanto per il colore della mia pelle. Sono un calciatore, e agli occhi di molti posso contribuire allo sviluppo del calcio americano. Ma sono anche un essere umano, non posso far finta di niente e rappresentare così un paese che non mi accetta“. Uno sprone poi alle istituzioni, chiamate ad intervenire prontamente per sensibilizzare sulla questione: “Se la nazionale non dovesse supportare il movimento o i calciatori che vivono queste situazioni, direi qualcosa. Ne parlerei con miei compagni- avverte McKennie– e se non mi dovessi sentire a mio agio potrei, sì, perché no, decidere di non partecipare al ritiro”.
GERMANIA– Dell’esperienza in Germania allo Shalke 04, McKennie ricorda un episodio in particolare. Durante una partita di Coppa di Germania, un tifoso cominciò ad insultarlo dagli spalti e a fare versi. “Sono stato chiamato black o scimmia. Ma in quel momento qualcosa è scattato: capita a tutti, non solo sul campo da calcio. E non c’è sempre una recinzione a separarle”, così il centrocampista racconta la prima volta in cui è stato bersaglio di espressioni e atteggiamenti razzisti. Una situazione spiacevole nella quale il ragazzo è venuto suo malgrado a trovarsi. Il motivo? Forse non riesce a capacitarsene nemmeno lui: “È stata la mia prima volta e mi sono reso conto che stava davvero accadendo. Non perché i media lo avessero esaltato, e non è che fossi particolarmente sensibile. Semplicemente, stava accadendo”.
Vorremmo non dover raccontare nuovi episodi del genere. Ma non saremmo corretti con i nostri lettori. Le parole di McKennie non possono essere taciute ma vanno gridate a pieni polmoni per scongiurare una piaga che può essere debellata con il rispetto. Un rispetto che deve partire dagli spalti, dove gli animi accesi e le rivalità non possono prestare il fianco a derive ignobili.