Cosa è cambiato rispetto allo scorso 23 maggio, quando i bianconeri espugnarono il Dall’Ara balzando definitivamente al quarto posto? Ecco i punti di rottura e di continuità di una rinascita che fatica più del previsto a decollare.
TRA PASSATO E PRESENTE – Potrebbe sembrare il titolo di un film, e in effetti potrebbe perfino esserlo, a testimonianza di quanto lo spettacolo della vita regali incroci, ricorrenze, passaggi, emozioni degni degli scenari più avvincenti. Anche nel calcio, che molti reputano un mondo a sé stante, laddove invece la passione gioca un ruolo altrettanto importante.
Era il 23 maggio del 2021, quando la Juventus espugnò il Dall’Ara 4-1 e ottenne quella sofferta, ma fondamentale qualificazione diretta alla Champions League. Una Vecchia Signora risorta sul filo di lana, con un quarto posto flash arrivato nel momento in cui ormai quasi tutti la davano per spacciata. Una partita che, soprattutto, funse da spartiacque al termine di una stagione discussa e per molti versi deludente, costellata in particolare dalla brusca e seconda consecutiva eliminazione dagli ottavi di finale di Champions contro un avversario, il Porto, peraltro alla portata dei bianconeri. La sentenza di fine campionato, dunque, fu: una Juventus che, dopo anni di successi, deve sicuramente ritrovare la sua identità, tralasciando sentenze indiscusse e maledizioni tanto decantate, una squadra che, al di là dei preconcetti, deve compiere un progetto e un lavoro approfonditi per ripartire e costruire una squadra solida che giochi a viso aperto e che non si affidi solo alla bravura del singolo, ma ad un gruppo coeso, forte e determinato.
Sette mesi dopo, siamo nuovamente di fronte ad una fase cruciale della stagione, con la Juventus che, sul campo Dell’Ara, ha centrato come allora un successo importante che, in caso contrario, avrebbe profumato di ennesima battuta d’arresto in una risalita verso le stelle che si fa sempre più ostica. Ma, effettivamente, è cambiato qualcosa da quel 23 maggio? Sono mutati gli interpreti, quello certamente. L’addio piuttosto scontato di Andrea Pirlo ha fatto spazio al ritorno di Massimiliano Allegri, uno che ormai ci ha letteralmente preso gusto a sedere su quella panchina. Ne manca un altro, però, all’appello, uno la cui mancanza, per quante se ne dica, a volte si sente più forte che mai, alla vista di quell’attacco che vacilla ormai da settimane: Cristiano Ronaldo, l’uomo della presunta rinascita che ha salutato Torino con qualche rimpianto di troppo. Invece, cosa è rimasto? Una squadra che in questi mesi non ha lavorato a sufficienza per ricostruire la propria identità, come dimostrato dall’andamento discontinuo di questo primo scorcio di stagione. Una squadra che alterna partite, come quella di ieri sera, in cui si dimostra cinica e solida, a partite dove, come a Venezia, manca quell’appeal giusto al manuale di un tempo, quando determinazione, progettualità, coesione e cattiveria erano i dettami principali.
In attesa di un cambio di rotta necessario, Allegri dovrà fare di necessità virtù, cercando di trarre beneficio dai segnali positivi emersi nelle ultime partite e di sfruttare al meglio il potenziale degli interpreti a sua disposizione, puntando a trovare il giusto assemblaggio dei vari tasselli. Se lui sarà il ‘demiurgo’, anche la società, dal canto suo, dovrà fare la sua parte, il che non implica per forza compiere investimenti folli o ritenere che il mercato possa risolvere ogni problema, bensì comprendere quale direzione si vuole seguire per ridonare prospettiva, coerenza e lungimiranza ad un progetto che, negli ultimi anni, ha mancato di ‘profondità’.