Lunga intervista all’ex calciatore bianconero, oggi Direttore sportivo della Juventus Under23
INTERVISTA – Lunga intervista raccolta da TuttoC.com di Gianluca Pessotto, ex calciatore bianconero che oggi ricopre il ruolo di Direttore sportivo della Juventus Under23.
Ecco un estratto delle parole del dirigente bianconero:
La fine della carriera nel 2006:
“Capello voleva che facessi un altro anno, gli piaceva il mio ruolo di leader silenzioso, di grande vecchio, anche se non giocavo più molto. Poi però è arrivata Calciopoli ed è cambiata la mia vita.”
Lippi:
“È l’allenatore che ho avuto per più anni, quello a cui ho legato la maggior parte della mia carriera. “
Apprezzava il soprannome “Professorino”:
“Dipende. Sì, se riferito al mio modo di vestire, questa mia passione per i libri. No, quando diventava un termine dispregiativo, per ghettizzare la categoria di quei calciatori a cui, come me, piace leggere, magari anche dei testi un po’ più complicati. Io non mi sono mai sentito diverso. “
Ancelotti:
“Il mister arrivava dall’esperienza di Parma, era la prima volta che si proponeva a livelli importanti, e direi che poi in carriera ha dimostrato… Quelle due stagioni non sono state fortunate per diversi motivi, ci sono stati anche episodi particolari. “
Il diluvio di Perugia:
“Un caso più unico che raro. In realtà, non tanto per il terreno su cui si è giocato, ma per tutto quello che è successo prima. L’attesa è stata davvero snervante, anomala. “
Cosa non ha funzionato tra la Juve e Ancelotti:
“La cosa che ho notato, specie rispetto a un tratto distintivo della sua carriera negli anni successivi, è che mi sembra si sia affezionato meno ai giocatori in quell’esperienza. A Parma aveva Crespo: anche se per qualche partita non segnava, lo metteva comunque in campo e alla fine l’argentino lo ripagava. A Torino, per esempio, doveva gestire la competizione fra Inzaghi e Trezeguet. Ma non è stata tutta colpa sua: quando perdi tanti punti di vantaggio, la responsabilità è di tutti. Noi giocatori siamo arrivati un po’ vuoti ai momenti cruciali di quelle due stagioni. “
Il compagno più forte:
“Sempre meglio non rispondere, fai un torto a qualcuno. Di solito nomini gli attaccanti, perché fanno quello che tu non sai fare. E io da questo punto di vista ho giocato con gente come Zidane, Del Piero, Inzaghi, Trezeguet, Nedved. Meglio non scegliere. Anche Ibra: era giovane, ma si vedeva che aveva delle qualità strepitose. Ho avuto la fortuna di giocare con i migliori del mondo a cui il mio compito era passare la palla il più velocemente possibile. Io rimasi impressionato da Boksic. Aveva tutto: fisico e tecnica. Non sempre riusciva a tradurre la sua qualità in gol e questa è stata l’unica pecca di una carriera comunque di altissimo livello.”
Rimpianti in nazionale:
“Sarei un ipocrita se dicessi il contrario. Del ‘98 non restano grossi rammarichi: quando giochi il Mondiale in casa della Francia, la incontri a Saint-Denis e perdi ai rigori, cosa puoi rimproverarti? Poi hanno vinto la semifinale con la Croazia con due gol di Thuram: con lui ho scherzato spesso al riguardo, era evidente che fosse il loro anno”.
L’Under 23 della Juventus:
Secondo me a parte la Juventus nessuno lo considera davvero importante. Ed è un peccato: dopo la Svezia, ci sono state tante parole, sembrava potesse essere un punto di svolta importante. Invece sono passati quattro anni e siamo rimasti da soli, pur avendo avuto degli interlocutori incredibili come la FIGC e la Lega Pro col presidente Ghirelli. Eppure ci sono nazioni che lo fanno da anni: si vede che qualche risultato lo hanno ottenuto. Il Portogallo, per esempio, aveva rinunciato alle seconde squadre e poi le ha fatte ripartire: si sono resi conto che c’erano dei buchi generazionali. Noi pensavamo e pensiamo che possa essere un anello di congiunzione fondamentale. Certo, mi rendo conto che non sia semplice: la seconda è una squadra a tutti gli effetti. Comporta oneri, organizzazione, uno stadio in cui giocare. Non è semplice, ma penso che sia importante. Quando racconto la mia storia, parlo della C come di uno step fondamentale. Oggi abbiamo la possibilità di aiutare i nostri ragazzi ad affrontarlo, perché le seconde squadre diminuiscono il rischio: qualche giocatore lo perdi comunque, qualcun altro arriverà comunque, ma molti li salvi. I numeri sono confortanti, abbiamo registrato un aumento esponenziale di presenze in prima squadra da parte di calciatori cresciuti nel nostro settore giovanile. E l’obiettivo è avere giocatori formati nell’Under 23 che entrino in pianta stabile in prima squadra. Ma, ripeto, essere da soli non aiuta: avere altre seconde squadre consentirebbe di scambiarsi informazioni, crescere assieme, ragionare di sistema. È un peccato che non sia così, anche perché noi siamo molto contenti dei risultati che abbiamo ottenuto finora”.