Le parole del primo aribtro donna nella storia della Serie A.
DICHIARAZIONI – Maria Sole Ferrieri Caputi, primo arbitro donna nella storia della Serie A maschile, ha ripercorso le emozioni dell’esordio – avvenuto domenica scorsa in Sassuolo-Salernitana – in un’intervista rilasciata alle colonne de Il Corriere dello Sport:
“Esordio bellissimo, me lo avevano detto, non ci ho creduto, almeno fino a quando non sono entrata sul terreno di gioco.
Sulla sua passione per il calcio:
“Sempre appassionata di calcio, a sei anni mi piaceva già da matti, come tutto lo sport che in generale mi emoziona, mi lasciava incantata. Le Olimpiadi sono il top. Certo, non pensavo già di fare l’arbitro. Però alle elementari, in giardino, giocavo a calcio. Poi c’era mio papà, che guardava sempre il calcio in tv. Ed infine i Mondiali, 1994, ero piccolissima e poi quelli del 1998. Lì nasce la mia passione per Baggio e quella maglia che mamma mi ha comprato al mercatino, non ufficiale, ma è la più preziosa di tutte”.
Sulla strada intrapresa per diventare arbitro:
“Liceo Scientifico Federigo Enriques, con gli amici ci siamo messi d’accordo per iniziare il corso. Ma tutti quelli che avevano cominciato con me, dopo un anno e mezzo avevano smesso. All’epoca non pensavo certo di arrivare in A, all’inizio è passione, sport, condivisione, una rete sociale sana, pulita, che ti permette di crescere. E che ti dà un rimborso spese. Con i primi assegni che arrivavano alla BNL, perché li raggruppavano, mi ci sono pagata una vacanza all’Elba con le amiche”.
Le difficoltà:
“Nelle categorie regionali, per aspetti non solo caratteriali ma anche fisici, sui quali ho lavorato. All’inizio non correvo come ora, ci ho lavorato. A Santa Croce sull’Arno, in Promozione, rimasi piantata su un lancio lungo. Mi dissi, quella ed altre volte, che avrei smesso. In serie D, dopo qualche prestazione o visionatura non brillanti”.
Alle rinunce:
“Ho rinunciato all’Erasmus, anche se tanti sono riusciti a fare entrambe le cose. Io no, un limite mio. Pensavo che per un arbitro, perdere una stagione sportiva potesse voler dire molto. Anche se penso sia un’esperienza molto formativa. Ma non è tutto, perché le rinunce sono continue. E non finiranno qui. Penso alla difficoltà di una maternità, e lo dico in maniera sana, perché ora come ora non ci penso. In un futuro, mi piacerebbe, ora forse non sono pronta, non è un peso. Però spesso ci troviamo davanti ad una scelta, non imposta da qualcuno, ma essendo delle sportive, tendiamo a rimandare famiglia e figli. Anche su questo si potrebbe fare un passo in avanti. Fra colleghe ci confrontiamo, è comunque un tema al quale ci troviamo davanti quotidianamente. I nostri sacrifici vanno anche pesati rispetto ad alcune rinunce, o scelte, che gli uomini non devono fare. Molte colleghe hanno programmato la gravidanza in un anno dove non c’erano Europei e Mondiali. Si perde la naturalità di una cosa che è naturale, è comunque un pensiero in più, familiare da una parte e sportivo dall’altra. Carina Vitulano, mio punto di riferimento, è riuscita a fare entrambe le cose ma…”.
Sul convivere con un mondo prettamente maschilista come lo è quello del calcio:
Non mi piace il giudizio continuo, al quale noi donne siamo più esposte, sia che tu sia riservata, sia che tu sia estroversa. Succede nel mondo, non nell’AIA o nel calcio. Se poi tutto questo si porta in un mondo “maschile” come quello del calcio, sento che spesso devo stare attenta alle cose. E sinceramente spero che mi si giudichi come arbitro e non come donna, per una società più evoluta. Giudicate per il proprio lavoro e non per come ci si veste o ci si comporta