Piace a tutti, non convince nessuno. Il centrocampista francese è un vero e proprio mistero.
OGGETTO MISTERIOSO – Per chi non lo sapesse, UFO è un acronimo e sta per oggetto volante non identificato. Se volessimo dare il volto di un calciatore a questa definizione, l’accostamento ad Adrien Rabiot risulterebbe quasi immediato: a vederlo muoversi in campo, con il passo felpato e un’eleganza rara per un giocatore con la sua fisicità, sembra di vederlo volare. Se a questo uniamo la sua discontinuità, si capisce ben presto perché si possa definire “non identificato”. Probabilmente, molti dei suoi ex allenatori hanno fatto fatica a capire di che giocatore si tratta, eppure le parole al miele per lui non sono mancate, specialmente dal suo arrivo in Italia: Maurizio Sarri ne aveva parlato come ” un giocatore con qualità fisiche e tecniche non comuni, con uno strapotere quando strappa che ho visto in pochi.” Primo attestato di stima. Sulla stessa onda aveva proseguito Andrea Pirlo, che era arrivato a definirlo “un giocatore completo, raramente ho visto uno così forte sia tecnicamente che fisicamente. Non sa neanche lui le potenzialità che ha, ci stiamo lavorando mentalmente per fargli capire che è un campione”. La prima parte dell’ultima frase ricorda qualcosa? Massimiliano Allegri ha ripetuto quasi le stesse identiche parole dopo la partita con il Malmoe, soddisfatto della prova del francese, schierato da esterno sinistro nella vittoria bianconera in terra svedese.
VITA NON SEMPLICE – Dietro a quell’aria quasi da nobile, tanto da valergli, tra gli altri, il soprannome di Duca, si nasconde un ragazzo che ha comunque dovuto superare momenti personali e professionali non semplici. Quando Rabiot aveva 12 anni, nel 2007, un ictus ha colpito il padre, che si è ritrovato, dopo essersi risvegliato da un lungo coma, senza possibilità di comunicare verbalmente: è la cosiddetta sindrome locked-in, uno stato di vigilanza e consapevolezza accompagnato però dall’impossibilità di muoversi e esprimersi, se non con movimenti delle palpebre. Michel, questo il suo nome, è deceduto nel gennaio 2019 A questo, si aggiunga l’idea, nata in ambiente parigino, che Adrien sia sempre stato un ragazzo viziato e la cui madre-procuratrice Veronique agiva come tutrice in toto, quando in realtà l’unica volontà era quella che venissero rispettate le condizioni contrattuali del figlio. La storia tra Adrien e il PSG è finita bruscamente con l’addio a parametro zero, l’arrivo alla Juve doveva portarlo al definitivo salto di qualità, che però, dopo due stagioni, ancora non è arrivato.
IN CAMPO – Cavallo pazzo, soprannome che gli è stato affibbiato nelle giovanili del Paris Saint Germain, racchiude pregi e difetti del francese: in grado di galoppare con uno scopo, ma anche di perdersi nel corso della partita, a volte scomparendo totalmente dal vivo del gioco. Nel 4-4-2 proposto da Allegri nell’esordio europeo, Rabiot ha giocato da esterno sinistro, stesso ruolo che svolge nella nazionale francese, dove pare titolare inamovibile. Il compito è stato svolto in maniera egregia: la posizione permetteva ad Alex Sandro di spingere su quella fascia, tranquillizzato dalla presenza del francese a supervisionare la zona di campo che sarebbe rimasta scoperta, e inoltre dava allo stesso Rabiot licenza di inserimento negli spazi lasciati dai tagli di Alvaro Morata. Ieri sera mancava un pezzo importante dello scacchiere bianconero: Federico Chiesa. Con il ritorno dell’azzurro, il centrocampo della Juventus potrebbe tornare a 3, con Rabiot che andrebbe a fare la mezzala insieme a Rodrigo Bentancur al fianco di Manuel Locatelli. Resta da chiedersi, tuttavia, se il limite del ragazzo sia la posizione o il carattere. Perché le parole di Allegri nel postpartita di Malmoe suonano un po’ come una chiamata al dovere: Rabiot, ormai 26enne, deve prendere in mano il proprio talento e metterlo al servizio della squadra. Le fortune della Juve di questa stagione passano anche dalla sua corsa e dai suoi piedi. Ma soprattutto, passano dalla sua testa.