Agnelli, Laporta e Perez non mollano il tiro e ripensano il progetto Superlega: niente più inviti ma merito sportivo. La strada da percorrere sarà quella del compromesso. Ma la tensione con la Uefa non diminuisce.
Nell’aprile 2021 dodici club europei, guidati da Juventus, Barcellona e Real Madrid lanciarono un nuovo progetto per una organizzazione alternativa alla gestione sovranazionale della Uefa. La novità collassò dopo poche ore per una strategia comunicativa non ottimale. In questi ultimi giorni i club hanno rilanciato con modifiche sostanziali il progetto Superlega. Rispetto a quanto annunciato un anno fa, la formula di base non prevede più una clausola di “esclusività” per i club fondatori ma una competizione a mo’ di campionato con promozioni e retrocessioni. Una nuova Superlega che di nuovo ha ben poco. Per almeno un buon motivo di concetto. L’idea di creare una gestione altra del calcio europeo che si svincolasse dallo status quo prendeva in prestito la logica dell’Eurolega di basket, un format ben rodato e di grande successo proprio per il vantaggio che i principali club si concedevano assicurando spettacolo di primissimo livello. Nessuno, infatti, si è mai sognato di rinfacciare all’Armani Milano di prender parte ad un torneo “per pochi”. Nessuno della Hellenic Basket Federation ha mai preso di mira l’Olympiacos Piraeus perché partecipa alla competizione più prestigiosa a discapito dei connazionali dell’Aris Salonicco o dell’Aek Atene. L’apertura del progetto di Agnelli e Perez ad esigenze più meritocratiche è il compromesso che i fondatori della Superlega hanno dovuto perseguire affinché il loro figlio, riveduto e corretto, potesse vedere la luce. E’ quanto filtra nelle ultime ore, secondo le ipotesi più probabili. Non ci sono conferme ma il torneo vedrebbe la creazione di due serie da 20 squadre l’una, con un ingresso alla piramide del calcio europeo non più precluso a priori. Ma un’impostazione del genere esiste già nelle tre competizioni (Champions League, Europa League e Conference League) organizzate dalla Uefa. In questo senso, si tratterebbe della novità meno novità di sempre.
Non sono nuove, invece, le reazioni degli oppositori di Agnelli che non hanno mancato, con un cinismo da serial killer consumato, di accostare le intenzioni dei presidenti “rivoluzionari” a quanto sta accadendo in Ucraina nelle ultime settimane. Le parole del numero uno Uefa, Ceferin, e del presidente di Liga, Tebas, si commentano da sole. E sono una rivoltante caduta di stile. Quelle di Andrea Agnelli, invece, meritano una chiosa finale. Il presidente bianconero ha difeso la bontà del progetto in nome della necessità di riformare il calcio per assicurare ai club nuovi proventi. “La Superlega non ha fallito”, ha confermato il numero uno della Juventus al “FT Business of Football Summit” organizzato al Financial Times Forum a Londra. Ebbene, se non ha fallito l’idea di una organizzazione alternativa, ha fallito nella tempistica e nella strategia comunicativa la prima volta. Nuovamente nella tempistica, questa seconda. Si poteva forse aspettare tempi migliori per tornare a calcare la mano sulle esigenze di cambiamento del calcio che può e deve adattarsi all’evoluzione storica della società e dell’industria ma senza perdere di vista la propria natura.